‘Indoor, la nostra storia’ di Mike Agassi e Dominic Cobello

Il vero problema del tennis era che, bè, era un po’ noioso, ecco. Era lento.

Ma io avevo una mia teoria: se si fosse potuto velocizzare la risposta – colpendo la palla prima, colpendola più forte, o entrambe le cose – per l’avversario sarebbe stato più difficile recuperarla. Il gioco sarebbe stato più veloce e più eccitante, quindi più popolare, e più remunerativo. Quello che volevo insegnare ai miei figli era il tennis del futuro. Inoltre, era mia intenzione dargli forma, a quel futuro. Se velocità e potenza erano la carta vincente, e io ero sicuro che lo fossero, la domanda era: come insegni a qualcuno a giocare in velocità e potenza, senza rinunciare ad un buon livello di precisione? In quel periodo ai ragazzi si insegnava prima a colpire con precisione, e solo in seguito si lavorava sulla potenza del gioco. Il mio approccio era l’opposto. La mia risposta era insegnare ai miei figli a colpire in anticipo e con forza – con tutta la forza dei loro piccoli corpi – e al diavolo la precisione. La precisione l’avrebbero ottenuta in seguito con l’allenamento. E per allenamento intendo colpire migliaia di palle ogni settimana. I miei primi tre figli tiravano tra le settemila e le ottomila palle a settimana; Andre arrivò anche al doppio, qualcosa vicino al milione di colpi in un anno.