Da quando ho impugnato per la prima volta una racchetta da tennis ho goduto sui campi della massima fortuna.
Spesso sono stato battuto, tuttavia, guardandomi indietro e osservando la strada fatta, mi chiedo oggi se le sconfitte a cui la sorte mi ha condannato non mi siano state inflitte perché necessarie. Forse, in quel modo, una fata buona mi stava semplicemente avvisando che dovevo lavorare ancora molto per evitare in seguito una disfatta più cocente, dalla quale non avrebbe potuto proteggermi. Se Gentien non mi avesse battuto 6-1 6-0, in tre mesi non sarei arrivato al suo livello. All’origine di ciascuna delle tappe che la fortuna mi ha permesso di raggiungere, vedo una sconfitta e i nomi di Aslangul, Borotra, Cochet, Johnston, Tilden.
Tilden non sembrò per nulla colpito, non fece il minimo gesto, non abbozzò nemmeno un sorriso per accattivarsi la simpatia del pubblico, ma giocò così meravigliosamente che alla fine del match tutti gli spettatori lo applaudirono, in piedi. Più che divertire gli spettatori, vuole attirare le loro simpatie con il suo tennis. Vuole suscitare l’ammirazione soltanto attraverso il suo gioco, la sua personalità.
Il tennis è soltanto uno sport, e uno sport è soltanto un gioco, lo so, eppure sono sicuro che quando dovremo difendere la Coppa Davis giocherò con più piacere e coraggio che mai. Che cosa importa lo scopo, se lo sforzo vale in sé, se porta in sé la ricompensa? Il tennis è soltanto un gioco, ma è un gioco che vale la pena di essere giocato…